Intervista a Roberta Chyurlia

Oggi siamo in compagnia di Roberta Chyurlia, arbitro internazionale di judo che prenderà parte alle Olimpiadi di Tokyo.
Negli anni 2017, 2018 e 2020 è stata premiata come migliore arbitro donna d’Europa.
Di solito intervisto atleti o allenatori ma vorrei far conoscere il judo a 360°. Ci sono anche gli arbitri che ricoprono un ruolo molto importante, senza di loro non ci sarebbero le gare.

Ciao Roberta, innanzitutto ti ringrazio per aver accettato questo invito a “Grappling Italia”.
Complimenti per la convocazione olimpica da parte dell’International Judo Federation (IJF), tra l’altro sei il primo arbitro donna italiana ad andarci. 
Ma cominciamo dall’inizio… come nasce questa tua passione per il judo?
RC: E’ stato naturale, ho entrambi i genitori completamente inseriti in questo sport. Avevo poco meno di un anno ed ero già a bordo tatami quando mia mamma gareggiava ai Campionati Italiani a Napoli.

E per l’arbitraggio?
RC: Per caso, era stata data la possibilità agli atleti di iniziare ad arbitrare le classi più giovani e da lì, finita l’attività agonistica, ho iniziato come arbitro regionale e man mano dal gioco l’impegno è aumentato sempre più.

Da quanto tempo arbitri? E com’è stata la tua “gavetta”?
RC: Nel 2004 ho iniziato come arbitro regionale, poi dopo 3/4 anni ho superato l’esame arbitrale e sono diventata arbitro nazionale, dopo altri 4 anni sono diventata arbitro continentale e dopo 4 anni mondiale.

Ne hai mai risentito di avere soprattutto colleghi uomini? 
RC: Per fortuna non ho mai trovato disparità e anzi più sale il livello e meno c’è, anche perchè ormai si è creato un gruppo molto unito di 20 persone con cui si passa molto tempo tra le varie trasferte in giro per il mondo. La difficoltà che ho riscontrato è stata più quella per il mio cognome, dato che mio padre era arbitro olimpico.

Come professione arbitri solo? Te lo chiedo perchè so che si è spesso in giro per il mondo tra una competizione e l’altra.
RC: Sono un avvocato penalista e bisogna sempre essere presente, infatti, fin dall’anno scorso ho rallentato l’attività professionale grazie ai colleghi del mio studio perché arrivati a questo livello si viaggia tanto durante l’anno.

Quante gare arbitri mediamente in un anno?
RC: Solo per l’IJF ci sono da fare 18 competizioni all’anno, più 2 competizioni a livello europeo per rimanere nella classifica continentale, a volte capita anche di gareggiare due volte in un mese.

C’è un episodio particolare durante un tuo arbitraggio che ti è rimasto impresso nella mente?
RC: Sì, è stata la mia prima finale per il bronzo ai Mondiali di Tokyo del 2019 tra i due giapponesi, Ryuju Nagayama e Naoshisa Takato nella categoria -60 kg. A 30 secondi dalla fine Takato, campione mondiale, era passato in vantaggio di waza-ari e c’è stato il capovolgimento di situazione: a 5 secondi dalla fine Nagayama ha pareggiato il waza-ari ma andando in osae-komi (immobilizzazione) per 10 secondi ha ottenuto l’ippon.

Cosa fa un arbitro prima di una competizione?
RC: Ormai siamo un bel gruppo affiatato. Molti di noi prima della gara si allenano insieme in palestra o, dove non è disponibile, sono attrezzati con il loro kit personale. Qualcuno invece si dedica alla lettura.

Quando sei convocata per una gara internazionale, ci racconti un pò cosa fai? Quanto tempo prima arrivi nella località dove vai ad arbitrare? Te lo chiedo perchè so che a brazilian jiu-jitsu gli arbitri si incontrano il giorno prima per discutere sul regolamento e poi si allenano anche.
RC: Attualmente, data la situazione, due giorni prima della competizione faccio il tampone, per 24 ore sono in isolamento in attesa dell’esito. Con queste procedure una trasferta dura 7 o 8 giorni e a volte avendo competizioni vicine tra loro si va direttamente nell’altra sede di gara, sia per un discorso di tempo ma anche per un discorso di risparmio economico. Ricordo che in alcune zone, come in Australia, in Brasile e nella Repubblica Dominicana è obbligatoria la quarantena, nonostante il tampone negativo, in un hotel Covid.
Anche noi c’incontriamo prima di ogni competizione e discutiamo del regolamento e di alcune particolari situazioni accadute nelle gare precedenti.

A proposito, come fate a livello internazionale a rimanere aggiornati? Di norma l’aggiornamento è online o vi ritrovate magari prima di una gara?
RC: Normalmente prima del Covid c’era l’aggiornamento il giorno prima della gara attraverso seminari dove vedevamo situazioni di gara e li analizzavamo. Durante la pandemia abbiamo fatto tutto questo online e ora siamo tornati di persona, con la possibilità online per chi per causa di forza maggiore non può essere presente.

Che passaggi bisogna fare per poter arbitrare a livello internazionale?
RC: In Europa ci sono 300 arbitri in attività. Ogni anno i vari continenti segnalano i migliori arbitri all’IJF che nel nel 2018 ha selezionato un gruppo allargato di 30 arbitri per iniziare il percorso verso le Olimpiadi. Gli stessi hanno partecipato all’IFJ World Tour nei primi due anni per poi arrivare ad essere 24, poi 18 fino agli attuali 16, quelli che andranno alle Olimpiadi e i 12 che parteciperanno alle Paralimpiadi seguendo un corso specifico.

Secondo te che caratteristiche deve avere un buon arbitro?
RC: Innanzitutto è fondamentale la passione. Ci sono tanti sacrifici da fare. Poi è importante avere una famiglia che comprenda e che ti supporti; io sono fortunata perché avendo mio marito arbitro capisce tutto questo.
Sul tatami è importante sapersi isolare, entrare nella cosiddetta “bolla”, come fanno alcuni atleti prima degli incontri, e badare solo agli atleti, ignorando tutto il resto.
Bisogna essere freddi e lucidi e sbagliare il meno possibile. Essendo umani è impossibile non sbagliare.

Fino a che età si può iniziare questo percorso per ambire alle gare internazionali?
RC: Prima s’inizia ad arbitrare e meglio è. C’è il progetto IJF per gli ex campioni, è importante aver fatto judo ma poi ovviamente contano anche le caratteristiche specifiche.
In diverse nazioni gli arbitri continentali hanno 25/26 anni e così hanno tutto il tempo di farsi l’esperienza. L’età si sta abbassando sempre più e l’apice lo si raggiunge a 52/53 anni.

Com’è stato il periodo di pandemia per voi arbitri? E la ripresa dopo questo lungo stop?
RC: Ho ripreso ad arbitrare a Budapest a ottobre del 2020 ed è stato come aver riacceso un interruttore.
Anche per l’arbitro c’è approccio nervoso, l’adrenalina, il peso della responsabilità ma grazie alla Commissione IJF siamo stati per tutta la pandemia in contatto attraverso webinar sulle piattaforme e perciò il rientro non è stato difficile.
Anche nelle due competizioni, tra le varie assenze per Covid e quarantena, la commissione ha fatto il seminario su Zoom per permettere agli assenti di partecipare e di rimanere aggiornati.

Il fatto di dover igienizzare il tatami ogni ora e mezza/due ore vi permette di riposare di più? è meglio per voi così? 
RC: Odio fermarmi, temo un calo psicologico. Però è un discorso soggettivo, ci sono alcuni miei colleghi che invece preferiscono fare una piccola pausa. Comunque, per dieci minuti di stacco non cambia praticamente niente.

Nella normalità quanti incontri consecutivi arbitri e quanto tempo ti riposi? E nei Grand Slam che durano tre giorni come fai a rimanere sempre concentrata?
RC: Nell’IJF c’è solo un arbitro che viene selezionato dal computer (che ovviamente non può arbitrare gli atleti della propria nazione). Non ci sono incontri consecutivi e al massimo ci sono 3 incontri di pausa.
Riguardo i tre giorni consecutivi di gara, ormai è normale, è un’abitudine.

Ti è mai capitato di dare tre shido a entrambi gli atleti? Magari per continua passività.
RC: Per fortuna no. Nell’IJF è praticamente impossibile, molti incontri finiscono nel tempo regolamentare e pochi al golden score. Potrebbe succedere per una questione disciplinare, per comportamenti gravi ma a livello dell’IJF non è usuale.

Ci sono delle regole che se potessi le modificheresti? Se sì, quali?
RC: Attualmente no. È la strada giusta per evitare le situazioni da interpretare soggettivamente.

So che nel brazilian jiu-jitsu ci sono arbitri che nella stessa competizione possono anche gareggiare, cosa ne pensi? Potrebb, e essere introdotto anche a judo?
RC: Secondo me nella stessa gara no perché bisogna concentrarsi al massimo in ciò che si fa, per cui i due approcci sono completamente diversi; si potrebbe far arbitrare i cadetti e gli junior per le gare dei più giovani, dai fanciulli, bambini, ragazzi e esordienti A e B.

Secondo te come si può invogliare le persone a diventare arbitri in Italia?
RC: E’ necessario un lavoro capillare partendo dalle società, soprattutto quelle con un numero elevato di tesserati. Bisogna impiegare attenzione anche per gli ufficiali di gara.
Esiste la scuola di formazione per gli allenatori, aspiranti allenatori ma non c’è la scuola di arbitri Fijlkam.
La classe arbitrale ha un’età media avanzata, bisognerebbe iniziare dai 16/18 anni per un approccio verso l’arbitraggio.

Hai qualcosa che vuoi dire ai nostri lettori prima di salutarci?
RC: Ci tengo a ringraziare la mia famiglia, che è stata l’unica che mi è sempre stata vicina e non mi ha mai abbandonato.

Siamo giunti alla fine dell’intervista e ti ringrazio davvero tanto per la tua disponibilità. Un grosso in bocca al lupo per tutto, in particolare per Tokyo. Ciao Roberta!

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