Dress code alla Kingsway di Gordon Ryan.
Premessa scomoda. Tendenzialmente sono un cazzone e se uno si presenta col kimono di Naruto a me va bene (Jacopo, sto parlando di te). Tollero persino gli spezzati. Ma capisco benissimo Gordon Ryan e chiunque scelga regole chiare. Anzi: quando devo scegliere dove allenarmi, tendo a preferire palestre con regole più rigide. È dai dettagli che si costruisce una comunità attenta a quello che fa.
Cosa ha deciso Gordon Ryan
Gordon Ryan ha introdotto un dress code netto nella sua nuova Kingsway Headquarters. Obiettivo dichiarato: look pulito e professionale, dentro e fuori dal tatami, con uniformità soprattutto per ciò che finisce sui social.
- No-gi: rash guard e shorts neri o bianchi, almeno per l’80% della superficie. Loghi ok, ma base rigorosa.
- Gi: solo bianco per tutti fino alla cintura nera. Nero consentito ai black belt e oltre. Vietati capi larghi, tasche, zip e t-shirt. Obbligatori rash guard sotto il gi e, per gli uomini, shorts sopra spats o compressioni.
Nota curiosa: niente blu. Sorprende, visto che il blu è spesso più diffuso del nero.
Perché farlo
La motivazione è semplice e operativa: uniformità visiva e professionalità. Serve nelle classi, nelle foto, nei video, nei reel. Ryan sottolinea che non vuole costringere nessuno a comprare il suo merch. In accademia ci sono capi neutri per chi dimentica qualcosa, ma il principio non cambia: allinearsi a una cornice comune.
Qui si innesta la lettura più ampia. Nel jiu-jitsu convivono tradizione e modernità. Relson Gracie, per dirne uno, ha sempre difeso il gi bianco perché rende chiarola cintura dell’avversario. È una logica funzionale, non nostalgica. E, paradossalmente, la scelta di Ryan, pur venendo dal no-gi, dialoga con quella linea.
La tensione identità vs. regole
Il primo contraccolpo è prevedibile: addio espressione personale. Niente gi rosa shocking, niente palette custom. Ryan non la prende larga: se non ti piace, non venire. È un posizionamento. E ogni posizionamento, per definizione, esclude qualcosa.
C’è poi un tema di coerenza apparente. Ryan, atleta no-gi, ha vestito rash di mille colori nel corso degli anni. Perché ora il bianco e nero? Risposta pratica: un conto è il tuo percorso da atleta, un altro è la coerenza visiva di un luogo. Se alleni persone, vuoi un ambiente leggibile a colpo d’occhio, in presenza e online.
Sulle compressioni lo scetticismo resta. Nell’MMA e nel grappling la compressione totale evita grip indesiderati sugli shorts. L’obbligo di shorts sopra spats è una scelta di decoro e riconoscibilità. Non massimizza sempre la performance micro, ma aumenta l’ordine macro.
L’argomento che conta davvero: comunità
Torniamo ai dettagli. Una palestra è un’istituzione culturale, non solo quattro materassine. Le regole visive fanno tre cose utili:
- Abbassano l’attrito decisionale. Ti vesti così. Fine.
- Rendono il gruppo riconoscibile. Dentro e fuori dall’accademia.
- Trasmettono attenzione. Se curi il colore dei capi, tenderai a curare anche igiene, puntualità, modo di stare sul tatami.
È il motivo per cui, pur essendo indulgente con Naruto e con gli spezzati, tendo a scegliere scuole che impostano una grammatica chiara. Le piccole prescrizioni educano il comportamento. Allenano il senso del contesto. Fanno crescere meglio i nuovi.
Non è un culto, è un confine
Il confronto con altre realtà aiuta. AOJ ha uno standard severo e ha costruito un’estetica riconoscibile a livello mondiale. Gracie Barra, invece, viene spesso criticata per l’obbligo di brand proprietario, percepito come costoso e identitario in modo forzato. Ryan si colloca in mezzo: rigore sì, obbligo di logo no. È un confine, non un recinto.
Obiezione: si perde “divertimento”
Vero a metà. L’auto-espressione nel BJJ vive in mille altri punti: scelta dei corsi, stile tecnico, attitudine nelle ronde, obiettivi agonistici o ricreativi. La divisa influisce meno di quanto pensiamo. E in cambio hai foto e video ordinati, minor rumore visivo, più concentrazione.
Se poi la tua identità passa dal gi mimetico o dalla rash neon, forse stai delegando alla stoffa la narrazione che dovresti fare con il gioco a terra.
Impatto pratico per le accademie
Se dirigi una palestra e stai ragionando sul tuo standard:
- Definisci palette e capi base. Due colori, max tre. Tutti gli altri su richiesta.
- Motiva la regola. Non perché “si è sempre fatto”, ma per igiene, ordine, media, riconoscibilità.
- Gestisci le eccezioni. Visitor kit in spogliatoio. Prima volta, si chiude un occhio. Dalla seconda, si allinea.
- Allinea staff e agonisti. Lo standard parte dall’insegnante.
- Comunicalo bene. Una pagina chiara sul sito, un post fissato in bacheca, una FAQ essenziale.
Il punto di equilibrio
Il dress code di Ryan non è un vezzo. È una scelta manageriale e culturale. Serve a dare forma all’esperienza e a renderla scalabile. Non tutti lo ameranno. Ma una palestra senza confini chiari spesso diventa un posto dove ognuno fa come gli pare e l’energia si disperde.
Io continuerò a sorridere se entra uno col kimono cammo. Ma se devo scegliere dove passare il mio tempo, preferisco un tatami con regole esplicite. È lì che impari a rispettare il contesto, non solo l’avversario. E alla lunga, sono questi dettagli a tenere insieme le persone.
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