Commento al film The Smashing Machine (2025)
Ho visto il film in anteprima, ecco i commenti a caldo di chi segue questo sport da più di 20 anni.
Ho visto il film in anteprima con Giacomo Brunelli e Alex Dandi. Circondato da giornalisti e creators che probabilmente conoscono a malapena le MMA e per i quali il periodo coperto dal film, 1997-2000, è un’incognita.
La mia recensione / commento quindi avrà un taglio diverso. Da fan delle MMA di lunga data (da quando erano vale tudo) quegli anni lì non posso dire di averli vissuti in diretta.
La domanda che mi chiedevo prima di vedere il film era: come poteva una biopic come quella di Safdie aggiungere qualcosa al documentario del 2002 The Smashing Machine: The Life and Times of Extreme Fighter Mark Kerr?
Risponderemo a un po’ di queste cose: mettiti comodo, perdona pure un po’ di spoiler qui e lì… ma se vuoi sapere contro chi ha vinto basta leggere la sua pagina Wikipedia wikipedia.org/wiki/Mark_Kerr_(fighter).
Cosa ne pensa quindi un esperto di MMA sul film The Smashing Machine (2025)?
Quando le MMA erano ancora sporche, vere e bellissime.
The Smashing Machine non è il solito film d’azione sulle MMA. Anzi, le MMA, per quanto permeino tutto il film, sono solo lo sfondo della storia.
The Smashing Machine è una storia fatta da qualcuno che le MMA le ama: tutto il film è costruito con amore per i dettagli.
Girato con una cura maniacale per il periodo e con una comprensione reale di cosa significasse vivere dentro quel mondo tra la fine dei ’90 e i primi 2000.
Benny Safdie costruisce un ibrido sporco e vero, con le immagini che sembrano tirate fuori da una VHS del Pride.
La grana, i toni freddi, i loghi sgranati – tutto ricrea quella Tokyo dorata dove i fighter americani arrivavano gonfi di speranza e dolore.
Se hai visto Kerr, Coleman o Vovchanchyn combattere in quegli anni, capisci subito che nel film non stanno “imitando”: stanno emulando quel periodo.
Ci sono inquadrature tali e quali a quelle iconiche, persino la riproduzione delle corde può trarre in inganno. C’è anche una piccola citazione all’ADCC (Kerr ha dominato sia l’edizione 1999 che quella 2000, vincendo il superfight nel 2001).
Gli attori: Johnson come non l’avevamo mai visto
The Rock qui è enorme, ma non nel modo hollywoodiano. È grosso come Kerr: trapezi fuori scala, sguardo smarrito, un’energia da animale in gabbia.
Ma soprattutto è spento al punto giusto. C’è fatica vera nei movimenti, zoppica e cammina tutto storto. Nelle scene post-fight sembra quasi perdere la lucidità come il vero Mark ai tempi dei painkiller.
Ryan Bader, nei panni di Coleman, non è un attore e si vede – ma probabilmente funziona proprio per quello. È credibile perché lo capisce, quel tipo di dolore: è probabile che quei discorsi li abbia fatti davvero.
E poi c’è Usyk. Pochi minuti, ma ogni volta che entra in scena sembra di avere l’energia di Igor Vovchanchyn in carne e ossa.
Forse sono di parte, ma chi ha amato Vovchanchyn come me sente subito quella presenza magnetica: il peso atomico dei colpi, il silenzio minaccioso prima dell’esplosione. Vovchanchyn era il prototipo di Fedor e Usyk è perfetto per quello.
Usyk buca lo schermo, e basta quello per far tornare alla mente i tempi del Pride Grand Prix 2000.
Bas Rutten interpreta se stesso, altro personaggio secondario ma che tiene insieme tutto. Rutten è il coach che vorresti avere: quello che ti spinge ma non ti giudica, che ride anche quando ti vede devastato.
Il dolore senza retorica
Il film tocca il tema dei painkiller senza fare prediche.
Safdie mostra un mondo dove l’abuso non è “tema sociale”, ma parte del contesto. Tutti sapevano, nessuno interveniva.
La sceneggiatura non cerca redenzioni forzate: Kerr vince, cade, si rialza, ricade. E questo basta. È la realtà di un fighter.
La cosa che ho davvero apprezzato è che il film non ti obbliga a “sentire pena”: ti mette nel contesto. Quel periodo era così: anestesia fisica e mentale, contratti in yen e dolori che nessuno sapeva gestire.
Il finale (piccolo spoiler)
Il finale, poi, è quasi commovente: Kerr vero, in un supermercato, anonimo tra la gente. Nessuna gloria, nessun filtro Instagram. Solo un uomo che ha dato tutto al suo sport e ha perso quasi tutto il resto.
Il suo rapporto col docu-film del 2002 che ha quasi lo stesso titolo: The Smashing Machine: The Life and Times of Extreme Fighter Mark Kerr
Avevo visto il documentario qualche anno dopo l’uscita (Grappling-Italia è del 2008, Kerr in quegli anni ha fatto gli ultimi match) e aveva davvero messo l’attenzione sull’abuso incredibile che fanno i lottatori dei propri corpi. Anche da vincitori perdi tutto. In anni in cui si vincevano monetine anche al livello più alto.
Un gioco che non ha senso giocare. Ma è grazie ai visionari che il mondo va avanti.
Sono partito quindi prevenuto sul film: mi aspettavo il drammone sulla falsa riga di quello. Invece devo dire che sono rimasto sorpreso: il film racconta il bello e il brutto, il correre veloce del tempo, il rapporto tra fighter e compagni di vita.
In sintesi
The Smashing Machine è un film che i fan old skool ameranno. È crudo, rispettoso e anche onesto.
Promosso a pieni voti.
Trivia vari
- Il film ha vinto un Leone d’Argento a Venezia, all’82ª edizione.
- Fabio Gurgel, che di Kerr è stato il terzo avversario al World Vale Tudo Championship 3, è interpretato da Cyborg Abreu.
- Il regista dedica un momento al figlio Cosmo durante una scena, piccolo momento che mi ha toccato. Sono curioso di sapere se il figlio sia stato strumentale per il film o meno.
- Enson Inoue è interpretato dall’oro olimpico e pro di MMA Satoshi Ishii.
- Marcus Aurélio, fighter di MMA del Pride (!!), interpreta mestre Hulk.
- Andre Tricoteux, il Colossus di Deadpool, interpreta Paul Varelans.
- Nel film si vede, oltre al già citato World Vale Tudo Championship 3, anche l’UFC e il Pride FC 6, Pride 7, Pride Grand Prix 2000 Opening Round e Pride Grand Prix 2000 Final Round.
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