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Un paio di anni fa sono venuto a sapere, tramite un altro amico praticante, che in realtà il BJJ – il Brazilian Jiu Jitsu – per quanto sicuro potrebbe nascondere qualche scheletro nell’armadio: scelsi questa disciplina, oltre perchè mi intrigava tantissimo, anche per evitare i danni cerebrali derivanti da discipline di Striking.
Questo mio amico – che oltre ad essere un mio compagno di allenamento è anche studente di medicina – tuttavia mi mise in guardia e mi spiegò che ci potevano essere comunque dei potenziali danni, e che a tal proposito erano in corso degli studi per capire l’impatto dei continui soffocamenti e delle costanti interruzioni del flusso sanguigno al cervello a cui ogni lottatore di BJJ è sottoposto.
Casualmente, pochi giorni fa mi sono imbattuto in un interessante articolo che risolve i nostri dubbi e che svela proprio il risultato di queste ricerche scientifiche. L’articolo in questione è stato pubblicato dal sito di news gallese Wales247.co.uk, ve lo propongo in versione integrale e tradotta in italiano.
<< Nel primo studio di questo tipo, i ricercatori dell’Università del Galles del Sud (USW) hanno scoperto che gli atleti di Brazilian Jiu-Jitsu (BJJ) possono essere meno a rischio di lesioni cerebrali di lunga durata rispetto a quanto suggerito da studi precedenti.
Il BJJ è una popolare arte marziale che espone i praticanti ad asfissia intermittente ricorrente a causa dell’applicazione controllata di soffocamenti al collo. A differenza di molti sport da combattimento, il BJJ proibisce categoricamente i colpi al corpo, in particolare alla testa, favorendo la manipolazione degli arti e le strozzature del collo per costringere un avversario alla sottomissione.
Sono state sollevate preoccupazioni per quanto riguarda il potenziale legame tra soffocamenti ripetuti al collo, danni strutturali cerebrali e implicazioni per la funzione cognitiva: i mezzi e i meccanismi di acquisizione ed elaborazione di informazioni, come apprendimento, memoria, attenzione e coordinazione.
I ricercatori (Benjamin Stacey, Zac Campbell e il professor Damian Bailey) del Laboratorio di ricerca neurovascolare dell’USW hanno esaminato il flusso sanguigno al cervello utilizzando l’ecografia duplex e hanno monitorato la funzione cognitiva tramite test neuropsicologici in atleti d’élite di Jiu Jitsu brasiliano. Hanno trovato prove preliminari che gli atleti di BJJ avevano un flusso sanguigno al cervello a riposo più elevato, insieme a una funzione cognitiva intatta, rispetto a un gruppo di controllo di atleti abbinati per età, sesso e forma cardiorespiratoria.
Benjamin Stacey, docente di scienze cliniche, ha dichiarato: “La popolarità del BJJ sta crescendo in modo esponenziale ed è probabilmente attribuibile a molte persone che ne hanno assistito all’efficacia nelle arti marziali miste (MMA) in promotions come Ultimate Fighting Championship (UFC) e Bellator. L’inclusività del BJJ consente a tutti gli individui di allenarsi insieme, indipendentemente dall’età, dal sesso o dalle capacità fisiche e, rispetto ad altri sport da combattimento, il BJJ comporta un rischio minore di lesioni.
“I nostri risultati unici contrastano con l’idea che il BJJ predisponga un individuo ad un rischio maggiore di danni cerebrali di lunga durata e, al contrario, forniscono prove per una maggiore protezione del cervello. Queste osservazioni possono essere attribuite al precondizionamento indotto dai soffocamenti e/o all’esposizione ad allenamenti a intervalli ad alta intensità specifici per il BJJ, che sappiamo può conferire benefici protettivi per il cervello”.
“Questi risultati possono aiutare a informare la ricerca di follow-up tanto necessaria per esaminare ampiamente le implicazioni sia a breve che a lungo termine della partecipazione allo sport”. >>
Insomma… belle notizie!