Intervista a Paolo Bianchessi

Oggi siamo con Paolo Bianchessi, che oltre ad averlo visto come tecnico di Fabio Basile, vincitore alle Olimpiadi di Rio del 2016, è stato l’ultimo atleta dei pesi massimi a gareggiare per l’Italia per ben due Olimpiadi, nel 2008 a Beijing in Cina e nel 2004 ad Atene dove arrivò ai piedi del podio. Inoltre ha vinto due medaglie ai Campionati Europei: bronzo nel 2003 a Dusseldorf e argento nel 2008 a Lisbona, tre bronzi ai Campionati Mondiali Militari e molte altre medaglie a livello sia nazionale che internazionale.
Oltre che come atleta, viene sempre ricordato da tutti i suoi compagni e compagne di Nazionale come una sorta di fratello maggiore, con la battuta sempre pronta per rendere più leggero il percorso di vita condiviso pieno di sacrifici, infatti è conosciuto anche come “Ciccio Nazionale”.
Ricordiamo che l’ha citato anche Matteo Marconcini nell’intervista fatta a gennaio.

Ciao Paolo, innanzitutto ti ringrazio ad aver accettato questo invito a “Grappling Italia”.
Partiamo dall’inizio: come hai scoperto judo?
PB: L’ho scoperto per caso nel 1986. Me l’aveva consigliato un mio compagno d’asilo e da lì ho iniziato giocando fino a farlo diventare la mia professione.

Poi sei entrato nel gruppo sportivo dei Carabinieri e da Bergamo ti sei trasferito a Roma, cosa è cambiato?
PB: A dire il vero ero già a Roma perché nel 1995/1996, dopo le medie e i primi mesi delle superiori, mi sono trasferito nella capitale per il college organizzato dalla Fijlkam, dove ci si poteva sia allenare che studiare. Era stato fatto già negli anni ’70 prima delle Olimpiadi di Montreal ai tempi di Mariani e Rosati.
Nel 1998 mi ero tesserato nella sezione giovanile dei Carabinieri e poi dal 1999 sono passato al professionismo.
Diciamo che adesso alcune palestre civili sono molto specializzate, basti vedere i risultati ai Campionati Assoluti a Squadre, e quindi non è più necessario far parte di un gruppo sportivo militare per poter puntare alle Olimpiadi.

Quando gareggiavi avevi qualche rito scaramantico?
PB: No, non avevo nessun rito scaramantico. In una parte della mia carriera avevo difficoltà a fare colazione, mi si chiudeva lo stomaco, e quindi non mangiavo, cosa che, come si sa, è molto sbagliata.

Cosa ricordi con più piacere riguardo la tua carriera da atleta?
PB: Per me la condivisione della gara a squadre era qualcosa di particolarmente sentita.
Inoltre anche la mia prima sfilata olimpica, il Campionato Europeo a squadre in Portogallo a Madeira nel 2001, il Campionato Mondiale a squadre a Basilea nel 2002, senza dimenticare di aver sollevato Fabio alle Olimpiadi del 2016.

Com’è stato il passaggio da atleta professionista ad allenatore prima dei Carabinieri e poi anche della Nazionale?
PB: Di sicuro non è facile passare da atleta, dove sei tu al centro dell’attenzione, soprattutto in uno sport individuale come il judo, a diventare allenatore, dove passi in secondo piano. Poi piano piano ti ci abitui ma ci vuole tempo per passare da pensare a se stessi a dedicarsi agli altri.

In base a che cosa stabilite chi segue un determinato atleta in gara?
PB: Partiamo dal presupposto che per me è indifferente, poi dipende a volte anche dalla necessità del momento, chiunque è pronto all’occorrenza. Come dicono gli altri ho un carattere accomodante, che non significa che faccio fare all’atleta quello che gli pare, ma che per me i rapporti umani sono più importanti della parte tecnica. Mi spiego meglio. Gli atleti della Nazionale sono già formati e quindi non si devono stravolgere i loro schemi ma hanno bisogno magari degli accorgimenti, invece è molto più importante saperli gestire. Ogni atleta fa tanti sacrifici: dal calo peso, che incide molto sulla qualità della sua vita, al rialzarsi da una sconfitta e quindi bisogna trovare il giusto equilibrio per poter arrivare al meglio alla competizione.
Inoltre ritengo fondamentale una continua collaborazione e condivisione con l’allenatore dell’atleta che viene in Nazionale perchè di sicuro la/lo conosce decisamente meglio. Un grave errore, secondo me, sarebbe quello di escluderlo, questo non farebbe bene all’atleta. Ad esempio con Fabio Basile c’è stato un continuo confronto col suo tecnico Pierangelo Toniolo, non solo nel percorso di avvicinamento alle Olimpiadi, ma anche prima dei singoli incontri nonostante conoscessi già le caratteristiche degli avversari di Fabio.

Ti abbiamo visto alle Olimpiadi di Rio alla sedia di Fabio Basile e poi so che sei tornato a Bergamo, lasciando la Nazionale. Cosa è successo?
PB: Per prima cosa è stata una scelta a livello familiare. Sono stato 24 anni fuori casa e non è facile stare 200 giorni all’anno via. Inoltre si sono venute a creare delle situazioni che non mi stavano bene. Nel 2015 quando Pino Maddaloni se n’è andato via dalla Nazionale come ct, io ero solo un collaboratore senza aver avuto un adeguato background, senza esperienze di club ed è stato difficile gestire gli atleti “vecchi” spremuti e quelli giovani che sono entrati all’ultimo, anche se poi ci sono state le soddisfazioni. Per alcune situazioni mi son dovuto sobbarcare diversi impegni e così dopo le Olimpiadi di Rio ho deciso di tornare da dove ho iniziato, come mi ero sempre promesso.

Come si è detto nel webinar di Felice Mariani, candidato alla Presidenza Fijlkam, nella nostra Nazionale abbiamo dei problemi coi pesi massimi che si vedono raramente convocati alle gare internazionali, come mai?
PB: Molti mi dicono che dopo di me non c’è stato più nessun peso massimo in Italia.
Mai nessuno si è interessato veramente a organizzare ad esempio degli allenamenti specifici per le -78, le +78, i -100 e i +100. Il lavoro è differente per i pesi massimi, l’aspetto fisico è molto importante e oltre al lavoro tecnico però ci vuole anche gente grossa con cui farci fare.
Avevo consigliato di creare degli allenamenti specifici, casomai anche di non farli venire sempre per forza a Roma ma andare noi da loro.

Cosa consiglieresti a un atleta di peso massimo?
PB: Col progetto a loro dedicato di cui parlavo prima sarebbe tutto molto più semplice. Purtroppo a questo punto bisognerebbe organizzarsi autonomamente per fare dei periodi di allenamento all’estero, come gli Olympic Training Camp, Mittersill. So che purtroppo si tratta di un grosso dispendio di denaro a proprie spese.

Secondo te, cosa si potrebbe fare per sviluppare maggiormente questo sport in Italia?
PB: Secondo me bisognerebbe utilizzare gli atleti del passato per dei progetti nelle scuole. Creare un gruppo di lavoro per promuovere il nostro sport, ovviamente formati e affiancati da persone più esperte nel rapporto con i giovani.
Non vanno delegati da soli i Comitati ma deve essere la Federazione in prima persona a muoversi.
È utile avere gli atleti che a fine carriera vanno direttamente nelle scuole per raccontare la loro esperienza, i sacrifici che fanno.
Altro tasto dolente sono proprio tutti quegli atleti, su cui la Federazione ha puntato e investito tanto, che a fine carriera vengono lasciati nel dimenticatoio. Nelle altre nazioni almeno i medagliati alle Olimpiadi hanno di sicuro la possibilità di entrare nello staff tecnico della Nazionale, almeno poter imparare dagli attuali tecnici per le varie categorie (cadetti, junior, senior).
Non basta solo la didattica che si può insegnare pure a 70 anni, ma ci vuole anche la dimostrazione della parte pratica.
Trovo assurdo non utilizzare ad esempio Giulia Quintavalle e Elio Verde, solo per citarne due.
Anche attraverso il progetto dell’”Osservatorio Nazionale Bullismo e Disagio Giovanile” di Luca Massaccesi, con la collaborazione di psicologi e di tanti altri personaggi sportivi di alto livello, ho partecipato a diversi eventi nelle varie scuole delle periferie romane dove si è parlato delle sconfitte e di come vengono metabolizzate. Se si riesce a gestire la sconfitta si riesce ad essere più vincenti sia nello sport che nella vita.

Come ti vedi tra 5 anni?
PB: Ritornare a Roma no, con dispiacere ma è una scelta condivisa, duecento giorni fuori casa sono un grosso impegno.
Di sicuro mi metto a disposizione per aiutare lo sviluppo del nostro sport, ad esempio siamo andati ad Amatrice per portare il furgone ai terremotati donato dall’IJF (International Judo Federation).

Cosa ne pensi della collaborazione tra Fijlkam e la federazione di equitazione?
PB: Certamente imparare a cadere è importante anche in altri sport, è la parte del judo che potrebbe tornare utile anche ad esempio per il calcio, il basket. La preparazione alle cadute porterebbe ad esempio ad una diminuzione d’infortuni, lussazioni.

C’è qualcosa che ci vuoi dire del Comitato Regionale Lombardia di judo, visto che ormai sei tornato a casa?
PB: Ho visto il bilancio di fine anno e mi sono stupito che sia risultato positivo, cosa che non succedeva da tempo, nonostante le numerose spese (allenamenti coi russi, coi giapponesi…). Sarei di sicuro favorevole alla ricandidatura di Cinzia Cavazzuti e del suo staff che hanno fatto davvero un bel lavoro.

E in vista delle elezioni federali alla Presidenza Fijlkam che si terranno questo sabato a Ostia (Rm) tra l’attuale Presidente Domenico Falcone e il nuovo candidato Felice Mariani, come ti schieri?
PB: Sono al di fuori e non ambisco a incarichi, però diciamo che la possibilità di scegliere tra due candidati alla Presidenza Fijlkam capita per la prima volta in assoluto nella storia della Federazione e le novità non sempre sono male…..

 Siamo giunti alla fine dell’intervista e ti ringrazio davvero tanto per la tua disponibilità. Un grosso in bocca al lupo per il tuo futuro. Ciao Paolo!

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