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Il peso medio norvegese ha uno score impressionante. Tarik Hopstock è diventato celebre per il suo marchio di fabbrica la “tarikoplata” (un garami simile a kimura ottenibile mediante isolamento della spalla e del gomito, con le gambe) ma ancora di più per il bottino raccolto nei maggiori campionati internazionali dove ha mostrato uno stile fortemente improntato alla sottomissione. Altro grandissimo prospetto (forse il più importante) a livello europeo nelle cinture colorate, conferma che la Norvegia, a discapito del basso numero di abitanti (circa cinque milioni e mezzo) è terra di grandi lottatori, basti pensare a Langaker o a Mathiesen che sono ormai due top mondiali del brazilian jiujitsu.
Il risultato più importante ottenuto finora è molto probabilmente il bronzo ai mondiali del 2019 dove Hopstock non è riuscito ad accedere alla finale per poco, a seguito di un match molto chiuso. Interessante leggere che abbia dichiarato che quello che fa la differenza in Norvegia (dove ci sono tanti altri atleti che probabilmente vedremo sbocciare nei prossimi anni) è, oltre alla grande disponibilità da parte di tutti i competitor di un certo livello a non farsi grossi problemi ad incontrarsi in accademie diverse per lottare, è la mentalità per cui bisogna sempre privilegiare la qualità sopra alla quantità. Quindi un’attenzione al dettaglio tecnico ed allo studio scientifico delle lacune da privilegiare rispetto ad una mentalità esclusivamente “everyday porrada” in stile carioca; questo, unito ad un turnover di sparring partner di alto livello (oltre a quelli già citati Hopstock si allena abitualmente con gente come Jack Hermansson fighter top 10 UFC) crea i presupposti ottimali per lo sviluppo di nuovi talenti in maniera organica e strutturata.
Inoltre alla carriera da competitor ha anche iniziato ad affiancare quella da insegnante, entrando nel corpo istruttori della sua accademia, la Frontline Academy dove dirige tutte le classi NoGi. Chiaramente siccome non è proprio semplice vivere esclusivamente di professionismo competitivo nel jiujitsu, Tarik è sempre disponibile per un seminario. Ma l’esperienza dell’insegnamento sembra che sia stata presa seriamente, ho letto alcune considerazioni sulle tempistiche dell’apprendimento che sono a mio avviso indice di un insegnante attento ai suoi allievi, riporto un estratto di alcune dichiarazioni recenti riguardo appunto la progressione nello studio della disciplina: “È del tutto normale ristagnare ad un certo punto mentre a volte magari stai facendo progressi, ma è difficile accorgersene perché guardi quelli che crescono accanto a te. Teta (il suo insegnante, ndr) ha sempre chiarito che ognuno fiorisce al proprio ritmo e ognuno ha diversi fattori che determineranno quanto spazio occuperà il jiu-jitsu nelle loro vite. Divertiti e fallo per i giusti motivi, ecco cosa ti farà durare per anni!”
Hopstock è senza dubbio un lottatore entusiasmante, fulmineo nelle finalizzazioni se gli si lascia il minimo spazio e coriaceo a livelli quasi disumani (ho ancora in mente quando pur di non battere per una leva dritta alla caviglia, una cosidetta botinha, rischiò di rompersi il piede che comunque da quanto pare subì una slogatura, nel match contro il nostro connazionale Buriasco all’Iron Brown Belt della promotion Copa Podio). Sono convinto che se continua così potrà confrontarsi con i più forti anche nelle cinture nere. È un eccellente footlocker e affronta ogni match con l’intenzione di finalizzare quindi è anche molto divertente da vedere. Consiglio per chi se lo fosse perso, l’incontro con un altro giovane prodigio dell’arte suave a cui sarà sicuramente dedicata una puntata di questa rubrica nelle prossime settimane, Erich Munis, nella finale della categoria Assoluto marrone adult all’ultimo campionato europeo.