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La mia “prima volta”

Trovarsi dopo molti anni a scrivere un articolo sulla mia "prima volta" non è facile....Acqua sotto i ponti, o sudore che mi sembra più appropriato, ne è passato molto.Per me la competizione ha da sempre rappresentato un punto fermo nella formazione...

La mia "prima volta" 1Trovarsi dopo molti anni a scrivere un articolo sulla mia “prima volta” non è facile….Acqua sotto i ponti, o sudore che mi sembra più appropriato, ne è passato molto.
Per me la competizione ha da sempre rappresentato un punto fermo nella formazione marziale….Basti pensare che quando iniziai a 17 anni con il Ju Jitsu tradizionale, dopo 2 mesi e mezzo di pratica ero già a confrontarmi (con le velleità di un principiante e la preparazione neanche di quello…) nelle regole della Kick Jitsu, disciplina di calci, pugni, proiezioni e qualche secondo di primitivissima lotta a terra. Il tutto a contatto leggero, per 2 rounds da 1 minuto e mezzo che mi parvero infiniti.
Capire che la preparazione fisica era basilare per me fu un lampo….Come potevo essere a corto di fiato cosi dopo neanche un round di 1,5 minuti? Se mi fosse successo in un combattimento vero? Come mai le tecniche viste nei film non funzionavano e neanche quelle insegnatemi in palestra? Come mai un avversario non collaborativo, per poco preparato che sia, era cosi difficile da affrontare?
Queste domande non trovarono immediatamente risposta e mi spinsero a cercare un approccio più reale (comunque non dopo una decina di match, tutti persi, che mi aprirono ancor di più gli occhi).

Con una preparazione ben diversa affrontai invece il mio primo match di grappling con kimono (la disciplina ai tempi si chiamava lotta a terra, correva l’anno 1997), guardacaso vinto, facendo praticamente appello solo alle risorse fisiche.
Li scoprii che la competizione rappresentava storia a se e che quando sei sotto pressione devono venir fuori i cosiddetti “cojones”…..Perchè? Semplice….L’avversario che battei era un mio compagno di corso più esperto di me che mi batteva regolarmente in accademia! Venni a capo della lotta con soli atterramenti e bloccaggi, “reminescenze” della mia pratica di Kick Jitsu.
Quel tipo di disciplina era limitata dalla partenza in ginocchio, un’organizzazione delle competizioni pessima, un regolamento non codificato e diverso a seconda di dove si svolgeva il torneo e degli arbitraggi totalmente non all’altezza. Fu cosi che dopo ebbe praticamente zero seguito.

Il mio esordio nel BJJ vero, autentico e con atleti di livello avvenne invece nel 2002 alla Coppa Europa di Parigi, organizzata da Kazeka Muniz, ai tempi cintura nera Gracie Barra.
Vinsi la prima lotta per armlock e persi la seconda ai punti nella categoria 88kg.
Li capii l’importanza di fare il peso correttamente, pesando meno di 81 e regalando 7 kg agli avversari non era pensabile di fare risultato, con atleti di livello incomparabile a ciò che avevo visto fino ad allora in Italia (e lottavo nelle cinture bianche!!!!)

Il mio esordio a pieno contatto risale invece a 2 anni prima, nelle regole del valetudo battendo per mata leao in meno di 2 minuti un avversario proveniente dal Wing Tsun.
Li si rafforzarono le mie convinzioni riguardo a discipline come quella e a tutte le altre dove si pratica senza combattere mai (sarebbe come voler imparare a nuotare allenandosi su un prato).
L’avversario in questione non aveva una minima idea di cosa fosse il combattimento al suolo e neanche quello in piedi….Rispetto per lui…Molto meno per il suo istruttore che lo ha mandato a combattere senza prepararlo.

Lo step successivo fu l’Extreme Brawl in Inghilterra, uno dei primi eventi europei nella gabbia (un discreto salto!!).
Il mio secondo match di VT mi vedeva opposto ad Alex Evans, all’epoca 15 match con 14 vittorie prima del limite.
Non mi tirai indietro, feci valere il mio BJJ e dominai tutto il primo round (dei 3 da 5′), fratturandomi il naso nell’unico pugno veramente a segno tirato dall’inglese a terra. Decisione medica ed incontro fermato.
Li imparai l’importanza di non attaccare continuamente in finalizzazione, di preoccuparsi di rendere stabili le posizioni e di allenare di più il ground and pound.

In questi 3 episodi, che hanno indelebilmente segnato il mio cammino marziale, ce ne sono altri, più di contorno perchè vissuti come compendio alla mia disciplina o come esperienza personale, riassumibili nei match di low kick (per migliorare il mio striking), in quelli di lotta libera (per testare il livello della mia lotta in piedi) e in quelli di sambo (esperienza personale).

Provare, sudare, allenarmi duro, vincere e perdere hanno contribuito in egual misura a formare l’atleta, il maestro e soprattutto l’uomo che sono oggi.
Combattere e mangiare, respirare e vivere il Jiu Jitsu ha costruito tassello su tassello il Bernardo di oggi, migliorandolo in una maniera che mi tornerebbe difficile anche solo immaginare attraverso altre vie.
Ogni cammino è duro ed irto di ostacoli…Il mio pensiero è che stia a noi superarli, non importa dopo quanti tentativi…La vita è un continuo apprendimento, il tatami, il ring e la gabbia sono “palestra di vita” per come ti mettono di fronte al vero “te stesso”….La sopra non puoi mentire agli altri e al tuo io (tanta gente fugge il confronto proprio per questo motivo).

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